mercoledì 28 novembre 2018

PAG.102




Nel chiuso di una stanza
adibita per estenuanti e complesse ricerche,
cerco di capire quale sia l’impronta lasciata dall’ironia
utilizzata, quando mi hai lasciato.
Le ormai curve candele accese stanno per toccare la loro base,
quasi vanno a rispecchiare la mia schiena,
prossima ad arcarsi fino alle ginocchia,
ed il capo toccandole lascia trasparire tutta l’angoscia.
La luce dell’alba comincia a penetrare
e tra le dita coprenti il volto
si evidenzia lo sporco lasciato dalla china,
ricordo………..,
ieri  scrissi,
ero arrabbiato ma ugualmente scrissi tutta la rabbia che provavo,
avrei voluto trafiggere quella pergamena,
imbrattata tra l’altro da linfa di pino,
ma non ebbi il coraggio di farlo,
su di essa rifletteva il verde dei tuoi occhi,
eri la meridiana che scandiva ogni istante della mia vita,
giocoso assai era il carattere che mostravi a chi ti circondava,
ma la preoccupante ansia vivente in te,
solo il cuor mio la conosceva.
I germogli fuori dalla vetrata,
 cominciano ad aprirsi per gioir al calor del sole,
esso li accarezza come le tue labbra accarezzavano le mie
nel primo risveglio,
dovrei uscire per sentir il loro profumo ma resto qui,
dove le tende sanno ancor della lavanda da te utilizzata
per il loro rinfresco.
Il suono delle campane ricorda l’avvio per il lavoro,
si calzano le opache scarpe
e si intasca il pezzo di seta da utilizzare
in caso di lacrime spontanee,
aprir la porta mi pesa,
pochi gradini e sono nell’orgia della vita,
il frastuono opprime l’angoscia,
mentre mi son reso conto di aver lasciato l’uscio aperto,
torno indietro per chiuderlo
ma nel girarmi si interpone l’immagine di un mondo sconosciuto:
feste silenziose mi circondano,
colori strabilianti vanno a dipingere lunghe vesti
indossate d’armoniose fanciulle,
l’erba  è ovattata e non c’è la porta che cercavo,
tutto e’ libero, senza inibizioni.
Tutto sa dell’ironia con la quale mi salutasti,
tanto ricercata nel cupo delle sere.

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