mercoledì 28 novembre 2018

PAG.23




Quattro pertiche ombreggiano il lato oscuro di un giardino
fermando l’allegria voluta da un solitario raggio di luna.
L’odore nauseante emesso da quelle latte
dimenticate sul bordo di rinsecchite staccionate,
fa commentare di un esiguo passaggio d’uomini
vestiti da miseri indumenti
lasciati marcire insieme a quella ruggine,
diabolicamente divenuta di un bianco candido,
forse per l’invidia di quelle rose concimate
dal passaggio di strani sorrisi.
Una materia non ben identificata molto densa
ma fluida s’immerge in me,
conducendomi verso l’unica luce non artificiale
che ancor schiarisce il rosso dei mattoni,
appartenenti ad un paese arroccato sul promontorio
 di un mare libero da sentimenti.
Mi conduco in esso mentre la polvere mi acceca,
la malavoglia mi prende come a ricordarmi
che le fondamenta di quel mostro,
accogliente ora i miei sospiri, le gettai senza sapere
che tu Candida
le ornavi di merletti e profumi.
Nel tempo trovammo la materia per dar vita alla vita,
ma non ci donò l’amore eterno.
E così mi hai detto addio
come la mollica del pane, quando si stacca dalla crosta secca.
La trasparenza dei liquidi che imbandivano il tavolo del giorno
non lasciava trasparire la forza
con la quale il peso di un’anima mai nata voleva confondermi,
come la pioggia penetrante negli occhi
quando il nocciola dei tuoi occhi
non sapeva mimetizzarsi al dolore che ci ha uniti.
L’indifferenza, dimostrata attraverso incredule smorfie,
è costellata da un insieme di confini molto simili tra loro,
imbevuti dalla stessa ninfea dal sapor salmastro
e dal profumo di un denso tale…
da far denudare anche il più casto amore al chiaror di quella luna,
l’unica capace di far emergere dalle sue ombre
pertiche tanto possenti dal non farci più sentire nell’animo
il sacrificio di vivere insieme,
tra le onde
e la noia dell’attesa.

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