mercoledì 28 novembre 2018

PAG.45




Chinando il capo verso la nebulosa terra
 ceca dei passi sofferti,
mi accingo a canzonarle l’immensità celata
nel suo rugoso affacciarsi al limpido universo.
È un bagliore ingenuo il modo in cui riporti l’obesità dal nulla,
 ma è impegno ungerti della vita,
anche se distorta dal culto dell’odio.
Strumenti taglienti infrangono le viscere dei meriti
riconosciuti con silenzi paternali,
eleganti tocchi tra dita diverse confermano l’Estraneo,
vivente accanto al nostro andare verso vertiginosi incontri;
è bello sai, ci si sente protetti,
 come le radici che or calpesto col sol pensiero,
 impresse su creta giovane.
Strani cortili si affacciano all’ombra di salici
dai quali si ode un cinguettio struggente,
ciò mi porta a dir: dove canta ormai la tua mente,
se non vive più tra il rosso di questi mattoni?
Il vuoto mi circonda e le stelle disegnano il volto tuo
roteante come il suolo
e lì ti perdo mentre osservi l’orizzonte d’altri cieli,
cieli in cui manca il sapor delle more,
crescenti nei rovi di quest’angolo steccato ai tempi dei confini.
Nel tornar nella pianura eterea ritrovo il calor del tuo cammino,
infangandomi delle meraviglie di cui sono circondato
come una bestia innamorata
ricerco attraverso tanti profumi,
l’odor più somigliante alla tua pelle
e trovandomi d’improvviso immerso tra fiori di ginepro,
cerco di raccoglierne sol uno per farne un totem delle notti,
mentre il lacerante grido di serpi indiavolate
sconvolge l’attimo,
costringendomi alla pena.
Ma non demordo, so che ci sei e quanto più il silenzio si fa zitto
più conferme ottengo della tua padronanza
sulla celata visione di noi in carne.
Mi seggo un attimo su di un tronco
poc’anzi ritagliato per ricavarne figura per un collage,
ci sto comodo ed incredulo,
 finalmente mi viene confermato un angolo
 in quest’Arem immaginario,
accanto a te ritaglio di una vita vissuta
nella rugiada dei soli occhi.


Nessun commento:

Posta un commento