mercoledì 28 novembre 2018

PAG.28




Al riparo dallo stretto morso di fame nera,
accordati con gentil pregio al tuo perdono,
o vellutato saluto d’esseri astratti fuggiti alla vista del mio sogno.
Sento lo zoppicante ma cauto brusio di gommose voci
piene d’estro e intelligenza.
Gobbo è il camminar tuo, mentre incontri il falso ospite dell’amore.
Ed or che indossi cravatte con figure inerti,
t’illudi di poter non più raccontarmi.
Attenta però agli oggetti da te calpestati come fossero granelli di sale,
potresti ritrovarti con le suole consumate e la voce rauca
dal gridar vendetta,
dato che ti mancherò.
Cordure forti senza fine detengono il mio respiro;
frasi nascenti al di fuori della mente contorta d’uomini senza ansia
fan credere di essere in emergenza d’odio, anche se,
 le tempere con le quali eleganti mani hanno espresso un carattere forte,
si ritraggono dal dover sfiorare setole di pane crudo.
L’odore acro dell’abbandono diventa sempre più potente,
non basta la salita ancora nel pieno del suo svilupparsi
a farlo annegare nel cupo dei malfatti;
e poi si prega senza indirizzo,
quasi si voglia somigliare a canti senza origini e finali,
quasi a donar a lapidi di gente conosciuta fiori senza petali e steli,
ma di certo con il ricordo del profumo.

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