mercoledì 28 novembre 2018

PAG.52




L’erba madida d’acri sudori si aggrappa alle caviglie
così a frenare
le gambe su fosse che gli occhi non vedono.
La mente in uno sgomento innaturale
porta all’involontario e macabro desiderio
di volerle esplorare grattandone le pareti con le unghie
per l’intera profondità;
il suolo sul quale si adagia la caduta,
con il suo liquame lava le ultime scorie
legate ad un nudo mai fiorito,
il freddo, la solitudine, il silenzio,
la polvere che acceca il dolore dovuto
a muscoli atrofizzati dalla mancata corsa,
rispecchiano un addio scritto con polline di lilium
su disegni dorati pronti ad essere donati
ad anime giudicate per il loro perverso essere state,
anche se per breve tempo,
la fibrillazione di un unico grande amore.
Vita mia,
non è ridicolo questo modo fantastico
di descrivere il tuo allontanarti
dal luogo in cui rifugerò il mio stare senza te.
Non lasciarmi,
continua a trafiggermi in ogni istante con la spada dell’ansia,
sopporterò il dolore,
addentrati con malizia nella scia
nata dalla voglia di star legati alla fragilità,
ne regneremo l’eterna unione,
e tanto diremo a melodie che verranno per far danzare l’oscurità
tra i riflessi delle nostre stelle,
sarà amalgamato con il giusto timore
tradurre i giorni vissuti in un indimenticabile attimo,
il tuo grembo ne sarà lo scudo,
i venti porteranno all’origliare delle porte dei miei angoli
 la tua preghiera,
in nubi solitarie nasconderò il pianto,
quando descriverai il seme che ha dato vita alla vita
la quale ti accompagnerà su di un prato
dove l’erba
non catturerà mai le tue caviglie.

Nessun commento:

Posta un commento