Nel
chiuso
di una stanza
adibita
per estenuanti e complesse ricerche,
cerco
di capire quale sia l’impronta lasciata dall’ironia
utilizzata
quando
mi hai lasciato.
Le
ormai curve candele accese
stanno
per toccare la loro base,
quasi
vanno a rispecchiare la mia schiena,
prossima ad arcarsi fino alle ginocchia,
ed
il capo toccandole lascia trasparire tutta l’angoscia.
La
luce dell’alba comincia a penetrare
e
tra le dita coprenti il volto
si
evidenzia lo sporco lasciato dalla china,
ricordo…..,
ieri scrissi,
ero
arrabbiato ma ugualmente scrissi
tutta
la mia rabbia che provavo,
avrei
voluto trafiggere quella pergamena,
imbrattata tra l’altro da linfa di pino,
ma
non ebbi il coraggio di farlo,
su
di essa rifletteva il verde dei tuoi occhi,
eri
la meridiana che scandiva ogni istante della mia vita,
giocoso
assai era il carattere che mostravi a chi ti circondava,
ma
la preoccupante ansia vivente in te,
solo il cuor mio la conosceva.
I
germogli fuori dalla vetrata,
cominciano
ad aprirsi per gioir al calor del
sole,
esso
li accarezza come le tue labbra accarezzavano le mie
nel
primo risveglio,
dovrei
uscire per sentir il loro profumo ma resto qui,
dove
le tende sanno ancor della lavanda
da
te utilizzata per il loro rinfresco.
Il
suono delle campane ricorda l’avvio per il lavoro,
si
calzano le opache scarpe e si intasca il pezzo di seta
da
utilizzare in caso di lacrime spontanee,
aprir
la porta mi pesa,
pochi
gradini e sono nell’orgia della vita,
il
frastuono opprime l’angoscia,
mentre
mi son reso conto di aver lasciato l’uscio aperto,
torno
indietro per chiuderlo
ma
nel girarmi si interpone l’immagine di un mondo sconosciuto:
feste
silenziose mi circondano,
colori
strabilianti vanno a dipingere lunghe vesti
indossate da
armoniose fanciulle,
l’erba
e’ ovattata e non c’è la porta che cercavo,
tutto e’ libero, senza inibizioni.
Tutto
sa dell’ironia con la quale mi salutasti,
tanto
ricercata
nel cupo delle sere.
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