Un
canto
menzoniero, trascendentale e imbarazzante,
è la cornice di uno scritto fradicio ed
impuro,
tempesta
dentro, sia l’inizio del dialogo
con
l’affannoso giocoliere di questo mio tormento,
una
vera conquista immettersi nel confine
tra
il
fulmine ed il tuono senza esserne scalfito,
il
bene, il male, una questione che non mi riguarda,
vedo
al di là
del
frastagliato contorno descritto.
Un
fiume in corsa verso la vaporizzazione di se stesso,
mi sento tale quando so che ad accogliermi è
l’ingenuità dell’infanzia lasciatami alle
spalle.
Quando
si tasta con le mani anche un solo brandello
di
ciò che resta di uno scialle,
usato
per coprir l’immagine di una sera trascorsa tra filosofici fumi,
il
rimorso d’esser nato, è pari all’ansia che non t’abbandona mai,
anche
se il frutto del vissuto
può
rifocillare la trasparente simbologia del male subito.
Caramelle
scartate da stagnola e mentre si gusta la celata dolcezza,
dal
riflesso dell’involucro vedo ombre impazzite
combattere
per un posto nella reincarnazione,
ed
or guardo il color della mia pelle,
dall’imbarazzo somiglia ai mattoni scalfiti di
questa vecchia parrocchia
dalla
quale vorrei
uscisse in quest’istante la voce dell’Onnipotente.
Rifiuto
l’aiuto della pace interna all’animo,
dando
sfogo alla debolezza dell’uomo,
immettendomi
nel silenzio opaco dalla distruzione.
Nel
braciere della vita vi son le ceneri d’odissee
vissute
nel nome dell’amore,
ma
c’è chi sotto il mantello dell’odio
porta
l’immagine di imperiosi splendori,
ingannevoli
per chi come me è ancor servo di fandonie e pettegolezzi.
Devo
convincermi a condurmi nel presente degli altri,
non posso continuare ad essere estraneo degli
ozi dei miei simili,
annoiarsi
alle porte dei sentimenti potrebbe essere piacevole,
che
bello sarebbe affacciarsi ai marciapiedi con tempestiva grazia
e dire alle spalle di chi mi precede:
leggete
l’antologia della solitudine.
Nessun commento:
Posta un commento