mercoledì 28 novembre 2018

PAG.82




Un canto menzoniero, trascendentale e imbarazzante,
 è la cornice di uno scritto fradicio ed impuro,
tempesta dentro, sia l’inizio del dialogo
con l’affannoso giocoliere di questo mio tormento,
una vera conquista immettersi nel confine
tra il fulmine ed il tuono senza esserne scalfito,
il bene, il male, una questione che non mi riguarda,
vedo al di del frastagliato contorno descritto.
Un fiume in corsa verso la vaporizzazione di se stesso,
 mi sento tale quando so che ad accogliermi è
 l’ingenuità dell’infanzia lasciatami alle spalle.
Quando si tasta con le mani anche un solo brandello
di ciò che resta di uno scialle,
usato per coprir l’immagine di una sera trascorsa tra filosofici fumi,
il rimorso d’esser nato, è pari all’ansia che non t’abbandona mai,
anche se il frutto del vissuto
può rifocillare la trasparente simbologia del male subito.
Caramelle scartate da stagnola e mentre si gusta la celata dolcezza,
dal riflesso dell’involucro vedo ombre impazzite
combattere per un posto nella reincarnazione,
ed or guardo il color della mia pelle,
 dall’imbarazzo somiglia ai mattoni scalfiti di questa vecchia parrocchia
dalla quale vorrei uscisse in quest’istante la voce dell’Onnipotente.
Rifiuto l’aiuto della pace interna all’animo,
dando sfogo alla debolezza dell’uomo,
immettendomi nel silenzio opaco dalla distruzione.
Nel braciere della vita vi son le ceneri d’odissee
vissute nel nome dell’amore,
ma c’è chi sotto il mantello dell’odio
porta l’immagine di imperiosi splendori,
ingannevoli per chi come me è ancor servo di fandonie e pettegolezzi.
Devo convincermi a condurmi nel presente degli altri,
 non posso continuare ad essere estraneo degli ozi dei miei simili,
annoiarsi alle porte dei sentimenti potrebbe essere piacevole,
che bello sarebbe affacciarsi ai marciapiedi con tempestiva grazia
 e dire alle spalle di chi mi precede:
leggete l’antologia della solitudine.

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