mercoledì 28 novembre 2018

PAG.67




Addormentato splendore su candidi profumi di viole,
fa che il rientro in te non desti sgomento a pallide pianure,
 anche se ancor cariche di festose parole.
Un acido mimato ballo arranca sul tuo suolo
con malinconico fare.
Le impronte lasciate alle tue spalle
danno un sicuro disegno di ciò che non esiste più,
nell’infero del tuo essere immaturo,
rispetto a Patriarcali preghiere dette senza pudore.
Caramelle con crosta d’avena,
sì proprio quelle che piacciono a chi nella crusca
immergerebbe anche la parte più sudicia del suo animo.
Fischietta pure o sordo e gaio stupore,
 che nel mio corpo mi fai sentire superiore alle furbizie della gente,
addolcisci le mie pene come il freddo gelido delle notti
accarezza la luce delle stelle,
impazzite urla sommerse da pallidi e strafottenti linguaggi
dei quali nessun essere è mai riuscito a scalfire il pudore,
ridammi la poca certezza da te regalatami in quella festa
che era soltanto il mio compleanno.
Il passaggio del tempo in me trascorso
ha fatto sì che il tuo riso non desti più preoccupazioni all’arroganza,
ma si associ un po’ al pianto
di chi riderà dello smalto poco chiaro dei tuoi denti.
Che ti stringi reale creatura nella morsa delle labbra?
Una goccia del mio sangue!
Il portar sentimenti sulle spalle
non significa graffiare le orge d’amori immaturi,
ma dà suono ai pochi dolori
che essi possono sprigionare nel pieno di un inverno gelido.
Entrare in te con la forza sgargiante
di un giovane pieno di luminosità forata;
schschsch
ci sono entrato, ti porto via in quel sentiero
di famelici ed egoisti animali pieni d’entusiasmi _ solo appariscenti.
Dato che nei propri calzini usano nascondere le fandonie,
con le quali vorrebbero immergermi nel credo
di un non so chi _ mai identificato.
No! Non godo quindi mi rifiuto di riconoscermi uomo
 in questo nero datomi
perché possa essere
il mio verde Giardino.


Nessun commento:

Posta un commento