Addormentato
splendore
su candidi profumi di viole,
fa
che il rientro in te non desti sgomento a pallide pianure,
anche se ancor cariche di festose parole.
Un
acido mimato ballo arranca sul tuo suolo
con
malinconico fare.
Le
impronte lasciate alle tue spalle
danno
un sicuro disegno di ciò che non esiste più,
nell’infero
del tuo essere immaturo,
rispetto
a Patriarcali preghiere dette senza pudore.
Caramelle
con crosta d’avena,
sì
proprio quelle che piacciono a chi nella crusca
immergerebbe
anche la parte più sudicia del suo animo.
Fischietta
pure o sordo e gaio stupore,
che nel mio corpo mi fai sentire superiore
alle furbizie della gente,
addolcisci
le mie pene come il freddo gelido delle notti
accarezza
la luce delle stelle,
impazzite
urla sommerse da pallidi e strafottenti linguaggi
dei
quali nessun essere è mai riuscito a scalfire il pudore,
ridammi
la poca certezza da te regalatami in quella festa
che
era soltanto il mio compleanno.
Il
passaggio del tempo in me trascorso
ha
fatto sì che il tuo riso non desti più preoccupazioni all’arroganza,
ma
si associ un po’ al pianto
di
chi riderà dello smalto poco chiaro dei tuoi denti.
Che
ti stringi reale creatura nella morsa delle labbra?
Una
goccia del mio sangue!
Il
portar sentimenti sulle spalle
non
significa graffiare le orge d’amori immaturi,
ma
dà suono ai pochi dolori
che
essi possono sprigionare nel pieno di un inverno gelido.
Entrare
in te con la forza sgargiante
di
un giovane pieno di luminosità forata;
sch…
sch…
sch…
ci
sono entrato, ti porto via in quel sentiero
di
famelici ed egoisti animali pieni d’entusiasmi _ solo appariscenti.
Dato
che nei propri calzini usano nascondere le fandonie,
con
le quali vorrebbero immergermi nel credo
di
un non so chi _ mai identificato.
No!
Non godo quindi mi rifiuto di riconoscermi uomo
in questo nero datomi
perché
possa essere
il
mio verde Giardino.
Nessun commento:
Posta un commento