Il
sapor
del cielo cupo,
penetra
nelle mie labbra
dopo
aver lavato il cauto demone della solitudine,
timpani celati al frastuono dal quale vien
squarciato,
mentre
la sua ribellione è schiava candida.
Avvolto
da un brivido corale sento l’ennesimo richiamo,
ed
il volteggiar confuso delle idee mi porta
la’
dove
l’immenso ti fa re.
Incombe
nel gelo la ricerca della passione,
sfiorata
appena dall’animo di un promettente futurista.
E
sento lo scorrere dell’umido tra le idee,
a
dir il vero poco convincenti sul come inoltrarmi nel tuo infinito,
ma
il voler distogliermi dall’acro della terra
spinge
ad espormi senza emozioni calcolate.
Suddito
di quella dolcezza con la quale m’ingannasti
mentre
la tua ascesa
trascinava
nell’incognita l’imperfetto dei lineamenti
scolpiti
per ricordo di un passato vissuto nella nitidezza.
Sento
il muschio tra le gengive,
ed
il propagarsi dei profumi incastonati ad esso,
con
elegante miscellanea mi rende saturo ed invidioso
come
tu lo eri quando le setole che mi coprivano
erano
intrise di quelle emozioni ereditate dai miei Avi.
Noto l’edera cercar nel vuoto un aggrappo
sconvolgente
ed
insegnar alla quercia avvolta, che l’esser esile ed aleggiante
è
un dono per inebriarsi del tuo volere.
La
costellazione determina l’imperfetto termine
vicino
all’audace gestione dei sentimenti
lasciando
sospirare chi sulla scia del vuoto cerca la struttura solenne.
emerge
senza troppa stravaganza il merito dei colori estorti dalle stagioni,
i riflessi sono vaghi e s’intrecciano
all’evoluzione dell’atmosfera
corteggiata
dalla stupidità perpetua vivente in me uomo:
catrame
del tuo esistere.
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