Dai
corriamo!
No!
Vai piano!
Dai
liberami!
No!
Resta!
L’indecisione
è il mio simbolo,
la
tempra senza scorza è il mio corpo.
Un
verme trasparente al tuo cospetto,
una
brigata in alta uniforme, la voglia di annullarmi,
mentre
inciampando cado
nel
vischioso fascino emesso dalla suola delle tue scarpe.
Raccolgo
il soldo lasciato da te cadere
e
lo getto sullo sputo di gatti inferociti.
Catturo
l’occhio storto con il quale osi rubare
l’immagine
riflessa da cocci di bottiglie
ormai
vuote del loro candore.
S’apre
il sipario e tutto tace,
si
stringe un po’ la cinta e tutto ride.
Si
ritorna con entusiasmo a ricercar quel sasso
che
nell’ora tarda,
scalfì
l’alluce poco protetto di un selvatico indovino.
Il
frastuono è degno dei plausi
dati
a sommi conoscitori d’intestini lucidi dalla fame,
il
silenzio sul quale è posato è massiccio in quest’angolo di Terra
e
quindi si è smesso di dar cazzotti allo schifo lasciato,
tanto
il tutto è ripagato quando i polpastrelli non riescono più
a
condur musica su quegli strumenti,
accordati
in tempi strani con malizia.
Sento
al di sotto delle ghiandole salivari,
lo
strano pizzichio lasciato da pane nero,
in
quanto erede non alato fu legato ad Elastici Paradisiaci.
Immaginami
ora nel caldo vortice di un abito da sera,
cucito
con le sete che nel domani dei sogni riunivano i tombini,
dove
nel risveglio del presente ricerco ciò che persi
quando
abbandonai gli occhi azzurri della mia dolce prateria.
Mi
sento sporco, ho voglia di lavarmi,
mi
tuffo in te Regina,
mi
risveglio e…
sono
un Angelo.
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