mercoledì 28 novembre 2018

PAG.51




Tra l’espressione misteriosa e dittonga,
un arco adagiato al nespolo,
 preordina all’apice suo conteso,
l’animo di un truciolo carpigno dell’ondulato e tremante sostegno
di un analfabetismo agrario.
Studiosi e curiosi adagiamo le labbra al gelo
 infuso con aromatiche briciole d’acerbe farine;
contrariarsi al fiorir di gemme d’estrosi fiori
dal gambo corto e spinoso,
l’infuso della sorprendente terra
dovrebbe trovar note con le quali dar melodia agli schiamazzi
mentre ci si anellano le dita per racchiudere segreti deteriorati
dal tempo passato a fondersi con muschio di Sorrento.
E si rispecchiano le sporgenze nello sgorgare d’acqua
preposta ad accarezzare i sensi velati dal mistero della timidezza
con la quale esprimere frasi incazzate.
Ed è trascorso il tempo senza giochi
 in cui ho ceduto le parole che daranno cattiveria alla tua musica;
ora ti tramando con il colore degli occhi, la luce dei tuoi giorni,
ti dondolerò sul dritto di una fune senza il brivido del vuoto,
ti dedicherò attraverso la serenità, la favola del giorno dimenticato,
ti cercherò nella critica strafottente di cene senza piatti
dipinti solo attraverso sdolcinate poesie solitarie da rime baciate;
il lembo in cui ci saranno ombre del tuo passaggio
sarà ancor carico di quel nero
rappresentante lo sgorgare della primavera
dopo i risucchi di giovani concimi.
Stracci appesi a rami infruttuosi
emanano nella vasta pianura ancor l’acro dei sudori
lasciato a dominare l’attracco di navi
tra il lamento di un’eterea solitudine
espressa nel baciarci accovacciati
su uno scoglio di Sorrento.
Il melodioso canto assottigliante il vento,
appartiene alla fanciullezza
che passeggia tra i fiori accarezzando l’aldilà del mare,
strappando poi all’aurora la giusta luce e la delicata freschezza
che riserverà all’eterna vita
espressa dal figlio nato da un dolce mare
ed una salata erba.

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