Tra
l’espressione
misteriosa e dittonga,
un
arco adagiato al nespolo,
preordina all’apice suo conteso,
l’animo
di un truciolo carpigno dell’ondulato e tremante sostegno
di
un analfabetismo agrario.
Studiosi
e curiosi adagiamo le labbra al gelo
infuso con aromatiche briciole d’acerbe
farine;
contrariarsi
al fiorir di gemme d’estrosi fiori
dal
gambo corto e spinoso,
l’infuso
della sorprendente terra
dovrebbe
trovar note con le quali dar melodia agli schiamazzi
mentre
ci si anellano le dita per racchiudere segreti deteriorati
dal
tempo passato a fondersi con muschio di Sorrento.
E
si rispecchiano le sporgenze nello sgorgare d’acqua
preposta
ad accarezzare i sensi velati dal mistero della timidezza
con
la quale esprimere frasi incazzate.
Ed
è trascorso il tempo senza giochi
in cui ho ceduto le parole che daranno
cattiveria alla tua musica;
ora
ti tramando con il colore degli occhi, la luce dei tuoi giorni,
ti
dondolerò sul dritto di una fune senza il brivido del vuoto,
ti
dedicherò attraverso la serenità, la favola del giorno dimenticato,
ti
cercherò nella critica strafottente di cene senza piatti
dipinti
solo attraverso sdolcinate poesie solitarie da rime baciate;
il
lembo in cui ci saranno ombre del tuo passaggio
sarà
ancor carico di quel nero
rappresentante
lo sgorgare della primavera
dopo
i risucchi di giovani concimi.
Stracci
appesi a rami infruttuosi
emanano
nella vasta pianura ancor l’acro dei sudori
lasciato
a dominare l’attracco di navi
tra
il lamento di un’eterea solitudine
espressa
nel baciarci accovacciati
su
uno scoglio di Sorrento.
Il
melodioso canto assottigliante il vento,
appartiene
alla fanciullezza
che
passeggia tra i fiori accarezzando l’aldilà del mare,
strappando
poi all’aurora la giusta luce e la delicata freschezza
che
riserverà all’eterna vita
espressa
dal figlio nato da un dolce mare
ed
una salata erba.
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