Un
cane
senza osso si sfama delle leccate del vicino gatto,
campanili
che suonano la fine del giorno
quasi
si vergognano di avere un suono così cupo.
Bicchieri
caduti lasciano i loro tagli
in
moquette puzzolenti di sudore,
il
borotalco affronta gli scritti coprendo dolcezze senza verbi,
lingue
accartocciate danno poca elasticità a frasi
rubate
ad anime perverse
proprio
quando in lontananza sentivo il profumo del vino buono.
Le
mani non si aprono in tasche piene di ruggine diversa,
molto
diversa da quella da me scrostata dal marciapiede,
da
tempo ormai non più percorso
dato
che, su quel blocco di cemento,
il
vellutato sapore della vita non si è mai stancato di passarci.
Nel
correre perdo ciò che servirebbe al mio tormento,
e
calpestando la musica con la quale gestisco
le
onde che
formano il mio volto,
mi
pento.
Non
serve un viaggio per danzar del tempo speso invano
se
la bocca impastata non è riuscita ad assaporare
il sapore da te nascosto
sotto
la pelle fradicia ormai dei troppi scandali sanguini.
Respiro
il tuo profumo,
l’unico che del mio essere è riuscito ad
esternare
la
poca dolcezza gettata con fatica
in
bicchieri fradici di te Anima;
Anima
appartenente a vesti che non mi sono mai appartenute,
perché
calpestavo terra artificiale
perduta
da uomini poco lavati di quelle esperienze
presentate
loro dal giorno in oscuri bordelli di cristallo
che
tremante descrivo con la bocca impastata di vino buono.
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