mercoledì 28 novembre 2018

PAG.96




Il tempo degli aranci in fiore.
La stima nasceva,
le mani stringevano la terra calda, arata, baciata,
calpestata senza alcun ritegno,
la pelle olivastra lasciava cadere lungo la sua ingenua mostranza,
il succo lasciato da un morso
il canto dava brividi al mio già annunciato amore,
senza luce,
così vorrei assaporare il tuo sorriso,
ricercandolo tramite il suo riflesso
ma tu corri, corri alzando la veste fin sopra le ginocchia,
i piedi saltando schivano con maestria le nervose radici
esse disegnatrici di percorsi sussurrati a delicati lobi.
Il respiro si fa pesante,
la vista lacrima l’allontanarsi della chioma nera
mentre la luna riflette il suo nascere nel blu di timide onde.
Ad un tratto davanti alla mia corsa il vuoto, dallo strapiombo un grido,
un richiamo in dialetto, quel dialetto con il quale esprimevi timidezza.
Sull’orlo apro le braccia per accogliere tutta la padronanza di quell’immenso,
la maestranza con la quale l’altopiano si presenta al gioco d’acqua,
fa pensare al carattere formato in te; ti prende e ti trascina in se’,
lascia solo il tempo di ricordare il sapore del cioccolato.
L’abbandono è fluido come l’incontro al sogno,
mentre le spalle mi vengono accarezzate dal vento
il sudore della fronte viene asciugato dalla gelosa seta
protettrice del tuo seno,
ho paura a girarmi,
non voglio credere al profumo che mi avvolge,
esso è menzoniero, istigatore,
come le pale di cui sono circondato,
da esse esplodono nella loro bellezza sublimi frutti,
ma guai a toccarli,
nel tempo sentirei un imparagonabile dolore
inflitto dalla loro invisibile arma.
Il tramonto gestisce le ombre donando loro spessore,
a tal vero l’elegante corpo si rispecchia nella giovane foschia,
trovandone similitudini e servitù,
ma la femmina terrena m’attrae più della scoperta d’altre vite,
mi volto per morderle le labbra ma tra i miei denti sento
la sabbia del mare.

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