Il
tempo
degli aranci in fiore.
La
stima nasceva,
le
mani stringevano la terra calda, arata, baciata,
calpestata
senza alcun ritegno,
la
pelle olivastra lasciava cadere lungo la sua ingenua mostranza,
il
succo lasciato da un morso
il
canto dava brividi al mio già annunciato
amore,
senza
luce,
così
vorrei assaporare il tuo sorriso,
ricercandolo
tramite il suo riflesso
ma
tu corri, corri alzando la veste fin sopra le ginocchia,
i
piedi saltando schivano con maestria le nervose radici
esse
disegnatrici di percorsi sussurrati a delicati lobi.
Il
respiro si fa pesante,
la
vista lacrima l’allontanarsi della chioma nera
mentre
la luna riflette il suo nascere nel blu di timide onde.
Ad
un tratto davanti alla mia corsa il vuoto, dallo strapiombo un grido,
un
richiamo in dialetto, quel dialetto con il quale esprimevi timidezza.
Sull’orlo
apro le braccia per accogliere tutta la padronanza di quell’immenso,
la
maestranza con la quale l’altopiano si presenta al gioco d’acqua,
fa
pensare al carattere formato in te; ti prende e ti trascina in se’,
lascia
solo il tempo di ricordare il sapore del cioccolato.
L’abbandono
è fluido come l’incontro al sogno,
mentre
le spalle mi vengono accarezzate dal vento
il
sudore della fronte viene asciugato dalla gelosa seta
protettrice
del tuo seno,
ho
paura a girarmi,
non
voglio credere al profumo che mi avvolge,
esso
è menzoniero, istigatore,
come
le pale di cui sono circondato,
da
esse esplodono nella loro bellezza sublimi frutti,
ma
guai a toccarli,
nel
tempo sentirei un imparagonabile dolore
inflitto
dalla loro invisibile arma.
Il
tramonto gestisce le ombre donando loro spessore,
a
tal vero l’elegante corpo si rispecchia nella giovane foschia,
trovandone
similitudini e servitù,
ma
la femmina terrena m’attrae più della scoperta d’altre vite,
mi
volto per morderle le labbra ma tra i miei denti sento
la
sabbia del mare.
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