mercoledì 28 novembre 2018

PAG.75


La nebbia avvolge le ombre che si incrociano
su questi mascolini marciapiedi,
gli sbuffi delle genti sono maleodoranti
e lanciati con forza verso l’angoscioso stagno.
Da  esso vi si potrebbero estrarre lamenti,
gioie, lacrime, poemi e poesie,
ma ciò che prevale in superficie è la carogna della sfiducia.
Avvicinandomi ad una lanterna
vedo che sulla sottostante panca vi è seduta una creatura;
ella con saper e maestria si scoscia con piacere,
ma il mio mantello di pezzame
 le ricopre la bianca carne in segno di rispetto;
un rispetto non voluto per l’audace sgualdrina
ma al casto gusto del  piacere e della sorpresa.
Prevale quando s’alza innanzi a me
un profumo di ciclamino, forse lo stesso,
con il quale ella stava trascorrendo gli attimi
prima del mio avvicinarmi, ma non vi sono piante….
Forse i sogni in questo grigiore sono più veritieri del presente.
Ci si incammina e l’odore del vino uscente da queste botteghe
m’attira più del gioco a cui dovrei dedicarmi,
ciò alla signora non dispiace,
 forse sa che una pausa prima dell’incontro
 può calmare l’ardore riflesso dal poema
poc’anzi al misterioso uomo.
Egli entra tra i fumi di candela ed il  puzzo di uomini mal lavati,
lo seguo per non perdere il sostegno,
mentre egli tracanna mi guadagno il caro pane,
sporcandomi le mani tra un tavolo ed un altro,
quando ad un tratto sua signoria in lacrime si accinge alla prosa,
 è quasi peccaminoso,
quindi con fervore lo prendo sottobraccio
per condurlo al finale di serata.
Giunti alla sponda mi accingo a denudarmi
ed egli ancor mi copre delle sue vesti ;
che vuoi dunque, fetido comune incrocio,
hai qui innanzi a te il fior della vita, prendimi e falla finita!
Mia mostrante fanciulla,
forse non ti sei accorta d’essere ancor nel sogno,
io sono lo stagno,
unica gioia che ti resta quando il nudo tuo
si presenta nella nebbiosa via
a chi il pezzame lo usa per coprirsi i lineamenti,
 dopo essersi affacciato su di me
a raccontarmi la sua nullità.

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