La
nebbia
avvolge le ombre che si incrociano
su
questi mascolini marciapiedi,
gli
sbuffi delle genti sono maleodoranti
e
lanciati con forza verso l’angoscioso stagno.
Da esso vi si potrebbero estrarre lamenti,
gioie,
lacrime, poemi e poesie,
ma
ciò che prevale in superficie è la carogna della sfiducia.
Avvicinandomi
ad una lanterna
vedo
che sulla sottostante panca vi è seduta una creatura;
ella
con saper e maestria si scoscia con piacere,
ma
il mio mantello di pezzame
le ricopre la bianca carne in segno di
rispetto;
un
rispetto non voluto per l’audace sgualdrina
ma
al casto gusto del piacere e della
sorpresa.
Prevale
quando s’alza innanzi a me
un
profumo di ciclamino,
forse
lo stesso,
con
il quale ella stava trascorrendo gli attimi
prima
del mio avvicinarmi, ma non vi sono piante….
Forse
i sogni in questo grigiore sono più veritieri del presente.
Ci
si incammina e l’odore del vino uscente da queste botteghe
m’attira
più
del gioco a cui dovrei dedicarmi,
ciò
alla signora non dispiace,
forse sa che una pausa prima dell’incontro
può calmare l’ardore riflesso dal poema
poc’anzi
al misterioso uomo.
Egli
entra tra i fumi di candela ed il puzzo
di uomini mal lavati,
lo
seguo per non perdere il sostegno,
mentre
egli tracanna mi guadagno il caro pane,
sporcandomi
le mani tra un tavolo ed un altro,
quando
ad un tratto sua signoria in lacrime si accinge alla prosa,
è quasi peccaminoso,
quindi
con fervore lo prendo sottobraccio
per
condurlo al finale di serata.
Giunti
alla sponda mi accingo a denudarmi
ed
egli ancor mi copre delle sue vesti ;
che
vuoi dunque, fetido comune incrocio,
hai
qui innanzi a te il fior della vita, prendimi e falla finita!
Mia
mostrante fanciulla,
forse
non ti sei accorta d’essere ancor nel sogno,
io
sono lo stagno,
unica
gioia che ti resta quando il nudo tuo
si
presenta nella nebbiosa via
a
chi il pezzame lo usa per coprirsi i lineamenti,
dopo essersi affacciato su di me
a
raccontarmi la sua nullità.
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