mercoledì 28 novembre 2018

PAG.56




Mi han ferrato l’animo
come un tempo si ferravano le corse di scheletri
che vagavano tra le fruste e gli insulti,
anch’essi schiavi di tremende putrefazioni
volute da deboli Esseri di Dio.
Oggi hanno inventato la cravatta e la determinano di colori
per dar sollievo ai colli.
Oggi si grida anche solo ad un graffio
che scalfisce la nostra libertà;
così oggi sia,
 il nostro sangue non inumidisca il peccato.
...Che ingrato incubo…
Mi alzo di soprassalto ti abbraccio vita mia e… si!
Ti porto fuori in quel giardino
 che anche in questo istante dà il suo richiamo,
attraverso profumi di certo non appartenenti
al crudo e nauseate sapore dei sogni,
eppure quando siamo stufi delle putrefazioni
che ci circondano ci rifugiamo in esso…
Che confusione…
Dio…
Quale voce devo usare per farmi udir da chi al di fuori di quel mondo
lacera il mio esistere tra il lamento e l’estro,
usati con garbo contro coloro che utilizzano solo il ferro e le fruste.
Determino il ridere sulle malformazioni del mio stesso credo
e traduco il canto di un tenore di vita eccelsa
in un ambiguo linguaggio di poveri uomini che, nel perso del presente,
ricercano la certezza del vivere il candido giorno.
Ovattato e sentito dovere di raccontare il tempo
senza rancori e castità mentali,
al germogliar di schiume nate da salive rimaste illese
dagli acuti nati in mascelle senza pretese.
Ed il tardi arriva e l’incubo che approda alla soglia del cuscino,
dove si adagia il sogno già vissuto,
si rifiuta di accarezzarmi ancora,
dato l’oltraggio con il quale ho descritto il sogno.

Nessun commento:

Posta un commento