Da
vetri
ingrigiti
ammiro
i contorni di gonne dipinte
dai
riflessi di un sole prossimo al tramonto,
mentre
accarezzo il velluto che dà sollievo
alle
rughe delle mie mani,
elemosino
il confine di questo giorno
passato
senza bere un goccio d’acqua,
essendo
sapiente del boccone che soffoca la gola.
Il
corpo disteso ondeggia al passare del caos indiscreto,
forse
così sordo da non udire più neanche se stesso.
E
sogno il mare, un mare tanto forte da accarezzarmi
anche
se son racchiuso nell’ansia di un mancato abbraccio.
Come
mi manca lo scrivere in cuori fertili
frasi
dalle quali anche l’ultimo elemento in vita ne traeva amore,
è
indegno il tempo nei confronti della mente,
vorrei
mordere l’astratto con il quale si è approfittato del mio corpo,
per
dargli ad intendere il rammarico espresso
nel
buio di questa stanza.
Attraverso
lacrime cadute dall’azzurro dei miei occhi ti parlo
e
con sollievo noto il tuo sorriso
incespicarsi
in un non so che dire;
non
indignarti, dolce compagna del futuro;
sono
pronto ad avvolgere la mia anima
in
uno di quei pezzi di stoffa,
nel
quale il sole rifletterà la vita.
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