mercoledì 28 novembre 2018

PAG.50




Ad un tratto gli stracci di cui mi coprivo
si adornarono di colori,
le frasi lasciavano il dialetto
e s’incespicarono in una madre lingua povera di poesia.
Attorno a me le pozzanghere in cui lasciavo il mio unto
si asciugarono,
il sole che riscaldava le mie guance
si nascose alle spalle di colui
che per mano mi trascinava lontano
lontano dal mio mondo;
dove la crosta del pane assaporata delicatamente
graffiava il palato ancor tenero dal conoscere
il crudo sapore della carne.
Dove poche volte ho visto il pulito delle mie mani.
Dove potevo tuffarmi in quell’armonia di quartiere
e nuotarci senza trovare mai la fine.
Dove il lamento di una creatura
poco più bassa delle mie ginocchia
non dava acro al tempo,
perché non c’era tempo a fermare il giorno.
Dove il far niente era apprezzato
perché era pur sempre far qualcosa.
Dove il dove resta un dove,
perché non c’è altro che un dove.
Ed ora vedo il mare con il suo profumo
allontanarsi dalle soglie del mio fiato,
con pianto vi ci adagio il mio pensiero:
amor mio,
finchè acqua vivrà in terra
l’eterna canzone ti racconterà di un uomo
cavalcante tra le gesta degli uomini
ma che sempre solo si trovava.
E’ vero peccato che non possa assistere alla tua metamorfosi.
Tutto cambia:
gioie, amori, costumi,
vecchi carretti diventano auto,
i mercanti si ritirano tra mura,
 per vendere il frutto del giorno,
ed io attendo
ciò che in armonie perdute
era uso di vita.

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