Ad
un
tratto gli stracci di cui mi coprivo
si
adornarono di colori,
le
frasi lasciavano il dialetto
e
s’incespicarono in una madre lingua povera di poesia.
Attorno
a me le pozzanghere in cui lasciavo il mio unto
si
asciugarono,
il
sole che riscaldava le mie guance
si
nascose alle spalle di colui
che
per mano mi trascinava lontano
lontano
dal mio mondo;
dove
la crosta del pane assaporata delicatamente
graffiava
il palato ancor tenero dal conoscere
il
crudo sapore della carne.
Dove
poche volte ho visto il pulito delle mie mani.
Dove
potevo tuffarmi in quell’armonia di quartiere
e
nuotarci senza trovare mai la fine.
Dove
il lamento di una creatura
poco
più bassa delle mie ginocchia
non
dava acro al tempo,
perché
non c’era tempo a fermare il giorno.
Dove
il far niente era apprezzato
perché
era pur sempre far qualcosa.
Dove
il dove resta un dove,
perché
non c’è altro che un dove.
Ed
ora vedo il mare con il suo profumo
allontanarsi
dalle soglie del mio fiato,
con
pianto vi ci adagio il mio pensiero:
amor
mio,
finchè
acqua vivrà in terra
l’eterna
canzone ti racconterà di un uomo
cavalcante
tra le gesta degli uomini
ma
che sempre solo si trovava.
E’
vero peccato che non possa assistere alla tua metamorfosi.
Tutto
cambia:
gioie,
amori, costumi,
vecchi
carretti diventano auto,
i
mercanti si ritirano tra mura,
per vendere il frutto del giorno,
ed
io attendo
ciò
che in armonie perdute
era
uso di vita.
Nessun commento:
Posta un commento