Mi
stringi
in un tango tra veli ricoprenti l’intera sala,
di
un fantastico ma piangente castello
giochi
con frasi fatte vibrandole ai miei lobi,
dai
quali pendono sospiri celati alla tua strafottenza;
il
vortice cattura le lacrime, esse
addolciscono il sudore
di
chi circonda le note stonate di questo momento.
L’abito
che indossi emana un odore acre,
esso
è rimasto intriso nel tuo ultimo viaggio
in
terre in cui la vita marcia è l’unica esalazione esistente;
nei
tuoi occhi si legge chiara la forza con la quale le erbe magiche
cicatrizzavano
piaghe oggi ricoperte
da
finissime sete comprate senza troppi scrupoli
per
adempiere ad uno scopo ben preciso:
farmi
girar la testa tra ampolle di cristallo.
I
passi sicuri non s’intrecciano,
le
tue gambe accarezzano la leggerezza della musica,
come
i miei piedi vanno ad improntarsi ai solchi
lasciati
dal vomito di guerriglia urbana
stipulata
dal macabro: essere figli di…..
un
niente vissuto nella peste di piccoli quartieri,
creati
con la certezza del proprio essere per sempre
il nudo della comunicazione umana.
L’inchino
è d’obbligo nei confronti di un largo scialle
quando
in esso il corpo smette d’aver il calore
della
febbrizzante mania della ricerca,
gli
sguardi s’incrociano innalzandosi al dominio
mentre
gl’indici sottolineano
l’orlo
merlettato scucito,
certo
non dal lucido delle scarpe dato il suo superbo candore;
probabilmente
le mani protese dalla pedana
tracciavano la loro presenza attraverso
piccole ruberie,
come
ad esempio sottrarre i cotoni
che
univano quelle sottili stoffe fluorescenti.
Prima
che alle nostre spalle il velluto pesante
dava
il tonfo di chiusura,
il
ricordo di un’immagine celestiale
fa sì di ricordarci l’atmosfera in cui mi
baciasti al sapor di vino,
ma
il vento ora spettina il nostro sorriso,
accasciato
al fiato vi è un misero lenzuolo
pronto
a fasciar l’orgoglio della sete di un giovane santone,
doniamo
alle sue labbra il confetto dello sposalizio
tra
l’impotenza della carne ed il putrido del vizio…….
il
bianco del dolce impasto,
si
ricopre di rosso come il fiocco emergente
dalla
cinghia del sandalo calzato
lo
stomaco si stringe dal dolore infertogli
quando
dagli occhi dell’immagine viene proiettata la tenda
in cui il
ballo
tra la polvere e l’acqua ha inizio,
come
la sensazione sentita dalle mie mani carezzanti il pianto tuo
nel
volo della vita
speso
per una nota mai suonata.
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