Un’ora
destinata
a giustificare l’esilio di un madido foulard
tatuato
da impronte di bocche che mai hanno baciato
destini
briosi e caldi.
Grinzose
stoffe riflettono i loro colori in quella seta proveniente
dalla
fattezza d’impercettibili dita.
E’
delicato il tragitto che l’ha adagiato su quel collo sconosciuto,
ciò
ramifica strafottenza
su
croste d’ignoranza di forze nate da macabri risparmi,
mentre
i pianti irrigano altre piantagioni
che
d’organico hanno solo l’oltraggio al pudore.
Resta
imbavagliato ed oscurato il lamento,
i
satelliti non percepiscono i nei di carni orizzontali
alimentate
dai rifiuti di fogliami anch’essi destinati alla non rugiada.
Il
curioso avviene nei viaggi nobili in cui il celato
è
oggetto d’orgasmi saporiferi
e
la mente porta a scrivere di linguaggi poco chiari,
ma
di sicure melodie suonate in tormente di silenzi.
Le
forbici ritagliano l’oscuro volto
elemosinante
di sfondo la timidezza di un’alba splendida.
Gesticolo
con l’indefinito quasi fosse un morse dialettale,
rilego
le risposte con risorse di spaghi sconosciuti.
Davanti
all’orizzonte l’arcobaleno è pallido
ed
il grido dei colori s’immerge nel sommerso del cerchio,
dove
incontra nuove bocche da pittare;
i
denti mordono l’ansioso tempo
rimasto a compagnia di sandali non calzati,
pur
essendo stati salvatori di calzini,
asciugati
su pietre laviche.
Il
fastidio è deprimente,
quando
si sente nello stomaco il pugno dell’angoscia
che
non trovando sbocchi tra stolte menti,
si
rifugia nelle vene di uno specchio bronzato
per
riflettere a bocche di crateri spenti
la
vita non vissuta d’anime smarrite.
E’
frastornante vedersi proiettati in schermi racchiudenti,
un
istante prima,
immagini
di terre stordite dalla nudità,
ma
la delusione avviene quando lo specchio riflette i miei abiti
che
a parte l’odore sono per l’assoluto
il
nulla.
Nessun commento:
Posta un commento