mercoledì 28 novembre 2018

PAG.60




Pietra nera,
 il tuo mimetizzarti in graniti pronti
per adorni di carattere signorile
è paragonabile al calore temprato
all’interno di silenzi squallidi ed astuti.
L’arrossire per la poca igiene
 al contatto con pelli bianche ed inebriate essenze
è confortato da acqua gelida trasudata
ai confini di bocche pronte ad unirsi senza malizia,
il freddo, che è in te,
viene astratto da ampolle di corallo
dimenticate sul sospiro di frontiere
  tremanti all’amore tra mari e vette demagogiche.
L’illusione descritta nella morbidezza essenziale
di un frutto carpito dall’imponente strumento del tempo,
è poco generosa nel rispetto di una metamorfosi terrena
dipendente dall’abbagliante riflesso di un sole comico
dal quale si percepisce l’energia racchiusa
dall’oltraggioso uomo di montagna,
nel suo più intimo segreto;
quando egli incidendo con la forza delle unghie il ruvido masso
si ferma al pungere della nuda schiena
da una brezza non più rinfrescata da verdi pini.
Gli occhi arrossati dal pianto asciutto,
non badano allo spessore della pelle di mani inizialmente gracili
ora pronte a stringere con malizia
 una piuma caduta dall’improbabile cielo.
Versi non ben identificati vengono uditi
dal richiamo di un nuovo inverno,
le luci imbrunite non celano le ombre testimonianti
intorno ad immagini verbali,
infossate orme profonde quanto il peso della svanita idea
di far l’amore con te.
E lego la roccia al tronco, cospargo di petali odorosi il neutro fango,
 promettendo al nuovo nato,
l’elemosina sigillata in resine, trasportate da eclettiche conchiglie.
E la luce cosparge con il suo egoismo la tua natura
  dando difetto ai colori,
con i quali comunichi con i delicati profumi
emanati dagli scritti poco decifrati,
 di certo incisi con il nero non appartenente più alla tua pietra,
ma all’anima compressa in un amore mai sorpreso sulla frontiera
 tra l’eremo e l’uomo di mare.

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