Pietra
nera,
il tuo mimetizzarti in graniti pronti
per
adorni di carattere signorile
è
paragonabile al calore temprato
all’interno
di silenzi squallidi ed astuti.
L’arrossire
per la poca igiene
al contatto con pelli bianche ed inebriate
essenze
è
confortato da acqua gelida trasudata
ai
confini di bocche pronte ad unirsi senza malizia,
il
freddo, che è in te,
viene
astratto da ampolle di corallo
dimenticate
sul sospiro di frontiere
tremanti all’amore tra mari e vette
demagogiche.
L’illusione
descritta nella morbidezza essenziale
di
un frutto carpito dall’imponente strumento del tempo,
è
poco generosa nel rispetto di una metamorfosi terrena
dipendente
dall’abbagliante riflesso di un sole comico
dal
quale si percepisce l’energia racchiusa
dall’oltraggioso
uomo di montagna,
nel
suo più intimo segreto;
quando
egli incidendo con la forza delle unghie il ruvido masso
si
ferma al pungere della nuda schiena
da
una brezza non più rinfrescata da verdi pini.
Gli
occhi arrossati dal pianto asciutto,
non
badano allo spessore della pelle di mani inizialmente gracili
ora
pronte a stringere con malizia
una piuma caduta dall’improbabile cielo.
Versi
non ben identificati vengono uditi
dal
richiamo di un nuovo inverno,
le
luci imbrunite non celano le ombre testimonianti
intorno
ad immagini verbali,
infossate
orme profonde quanto il peso della svanita idea
di
far l’amore con te.
E
lego la roccia al tronco, cospargo di petali odorosi il neutro fango,
promettendo al nuovo nato,
l’elemosina
sigillata in resine, trasportate da eclettiche conchiglie.
E
la luce cosparge con il suo egoismo la tua natura
dando difetto ai colori,
con
i quali comunichi con i delicati profumi
emanati
dagli scritti poco decifrati,
di certo incisi con il nero non appartenente
più alla tua pietra,
ma
all’anima compressa in un amore mai sorpreso sulla frontiera
tra l’eremo e l’uomo di mare.
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