I
l
messaggero
del tramonto
filosofico,
scarno, burbero e malizioso,
prepotente
solo con chi snobba l’infanzia
presente
nella luminosità delle stelle
fragili
compagne di un’assurda convivenza.
Timidamente
il suo rossore
immerso
nel celestiale circondario
troneggia
tra le salivanti nubi, madri di futili veli,
essi
corollari di antiquati venti.
Aleggianti
frasi compongono il mosaico,
rappresentano
per difetto un dialogo sofferto,
lasciato
nell’abbandono più assoluto,
castigo
per eremiti costretti a fusioni secondarie.
La
nobile gestualità degli astri
è
arte proveniente dalla fusione di giochi d’ombra della terra,
giocosa
assai con chi le solletica
l’Essere
la regina dell’immenso.
La
ricerca di un secondo fine aiuterà,
quando
avverrà la fusione
tra
l’incompreso erbaceo e la polvere astrale
sollevata
dal cammino di maestosi cervelli.
Esempi
stilizzati appaiono contornati da frenetiche corse,
su
facciate cementizie.
Cime
di roccia nera sono impresse a lama,
vi
si spingono contro maestose ali,
quasi
a volerne tagliare parti per secche zone
in
cui le voci sono attutite,
quasi
soffocate.
I
ghiacci sono lo specchio in cui si riflettono maledizioni
verificatesi
a
causa delle ingenuità carnali,
le
età si annullano lasciando posto alla stupidità del sentimento
anche
il nudo più assoluto trasuda di calore,
raggi
lunari trafiggono le tenebre
fino a far ribellare la cristallina anima,
essa
da sempre china ai principi nati e scritti
per il messaggero
dell’alba,
detestante,
impenetrabile,
vivo
e capriccioso.
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