E’
deprimente l’insulto al compasso
quando
con un deciso segno delinea il sogno inverso della vita.
Maestro
di colori, pretenzioso d’agganci inverosimili,
con
mastice fangoso attrai le rose tee
mentre
donano a carnivore compagne le loro spine.
Socchiudendo
gli occhi mi rifletto in gocce di sudore
cadenti
a scroscio tra limpida rugiada.
Il
profumo del caffè è stato assaporato dalle tue labbra,
libere
di dare impronta al petto mio.
Ripiego
il foglio e di nuovo in vita gioco,
calpesto
l’odio per tratti irregolari
e
con morsi atavici lascio nel vuoto
l’addormentato
insulto tratteggiato dal compasso.
Aldilà
d’angoli distorti,
poc’anzi
inchiostrati a getto, vi depongo il mio restante,
il
freddo mi prende al sentir con forza indiretta
i
nervi del nudo dei tuoi piedi
quando
poggiano con forza su un tappeto color cenere,
in
esso lasci l’elemosina del giorno,
in
esso deponi un sarcastico pensiero:
prima
che le fiamme traggano l’umido dalla pergamena,
un
prezioso abbraccio al nudo di tuo figlio
che
scalpitante ti trasmette la volontà del Verbo;
baciar
il furbo dei suoi occhi che riproducono il canto degli Angeli,
custodi
dello scritto in cui si leggerà:
il
bambino ormai uomo non ti accoglie nel suo pensiero,
la
sua carne è apostrofata da segni zodiacali
che
all’apice della sera diventano maniacali.
Il
fluido del suo corpo è ostacolato
dalle
spine gestanti nel cerchio.
Sulla
cattedra manca lo strumento per il sorriso
che
determinante allora stava
su
labbra di rossetto.
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