L’espressione
toccante
di un volto crudo
in
cui approdo con la perversa mania di scoprirlo;
vi
c’immergo le dita, quasi a deformarlo
scoprendo
che esso assume la somiglianza dell’animo
quando
ricerca nel vuoto acidi pronti alla cancellazione
d’antichi
profumi.
Profumi
dediti alla libertà prima di statuarsi in mostre da musei.
Le
ragnatele ricoprono gli spazi tra i tuoi arti,
conferma di un mancato passaggio d’esseri
astratti come me,
è
la luce emessa dalle candele a scaldare i marmi
posti
sotto ginocchia di legno d’ebano.
Gli
echi sono indigesti e rimbombano nello stomaco
come
le preghiere fanno nel peccato;
a stento s’intravede traccia
di
una pur sommaria ricerca della conoscenza;
tra
la poca pulizia di queste gradinate subentra in noi
l’impotenza
della volontà,
essa
fa sì d’essere convogliati in un tunnel oscuro,
dove
s’incontra la giusta ribellione all’immoralità d’altri esseri,
sicuramente superiori alle forbici taglienti,
propense
a ritagliare induzioni da dizionari
scritti
su postumi d’ignoranza.
Descritto
con affanno l’immortale gioco dell’inganno,
con
il quale si alimenta l’apocalisse
di
un mai più incontrarsi tra le arterie sommerse dagli asfalti,
vado
a convincermi contro un muro di spine,
che
forse immergervi dentro i desideri celati
sarebbe
risolutivo e sarcastico nei confronti di cera bianca
disciolta
per lavare appunto le tue ginocchia.
Vedo
lo scialle nero allontanarsi dai miei bisbigli,
esso
di sicuro con un corpo inesplorato
si
porta fin dove il verde dei tuoi occhi vede,
mentre
l’anima sconcertata si adagia al mio macabro pensiero
di
veder il nudo del tuo corpo
disteso
accanto al fiato di un pagliaccio moribondo.
Credo
di sentire delicate ed umide foglie
cadere
sulla punta del naso,
con
la spinta del vento vanno ad esplorare
ciò
che resta dello sporco di un corpo abbandonato,
si
rigirano nella mente immagini,
è un continuo tormento, è l’insonnia,
che
determina a volte il cammino mai effettuato,
le
menti forti ti fanno loro, pronte a trasmetterti la verità:
era
tutto un sogno.
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