Adagiare
un
ti amo alle vibrazioni di note,
rubate
in momenti, di vero peccato.
Asciugare
il sudore delle mani su gommose lenzuola.
Graffiare
il serioso volto con la luce che emanano i tuoi occhi.
Contraddire
il casto cielo che ci guarda indispettito,
attraverso
nere nuvole.
Un
linguaggio poco chiaro inasprisce l’entusiasmo
nato
pochi attimi prima dell’incontro;
mi
manca l’odio che in certi momenti solo il sentimento dell’amore
riesce
ad esternare
per
legare la propria carne al perfetto canto,
intonato
su note innate dall’invisibile sentimento.
E
torno a me lavandomi di un sogno calpestato dal rimorso,
ma
non deprezzo l’averti stretta al mio cuore
come
il sentimento si stringe al proprio budello.
I
giorni passano e mi vedo riflesso allo specchio
nell’insieme
dei colori che avevi,
quando
il mio corpo prese una strada diversa dalla tua;
ora
diventata struggente,
calpestata
e nella sua povertà
incatenata
all’infinito sudiciume che resta come un melmoso bacio,
dato
con un rossetto comprato in economia.
Ed
è stato azzurro il cielo,
quando
deponevo i miei sospiri tra il bianco delle tue cornee,
così
da nascondere l’acerbo mio vedere
un
futuro senza l’ansia del tuo corpo
non
più insudiciato dal bagnato delle mie labbra;
e
fu accanto al freddo dell’inverno,
ed
attraverso il linguaggio emesso dal battito dei tuoi denti,…
come
fosse un morse, …
che
imparai a leggere il pianto ed il riso
e
lì mi resi conto di non essere più l’uomo da te amato,
ma
l’acerbo in te mai sbocciato.
Ed
or che si sente la melodia emanata
da
lunghi orecchini nell’universo,
si
sente anche il dolore che essi hanno provocato
per
aggrapparsi alle carni.
Come
l’astratto mio fece al tuo grembo
nell’ignoto
di Dio.
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