mercoledì 28 novembre 2018

PAG.12




Adagiare un ti amo alle vibrazioni di note,
rubate in momenti, di vero peccato.
Asciugare il sudore delle mani su gommose lenzuola.
Graffiare il serioso volto con la luce che emanano i tuoi occhi.
Contraddire il casto cielo che ci guarda indispettito,
attraverso nere nuvole.
Un linguaggio poco chiaro inasprisce l’entusiasmo
nato pochi attimi prima dell’incontro;
mi manca l’odio che in certi momenti solo il sentimento dell’amore
riesce ad esternare
per legare la propria carne al perfetto canto,
intonato su note innate dall’invisibile sentimento.
E torno a me lavandomi di un sogno calpestato dal rimorso,
ma non deprezzo l’averti stretta al mio cuore
come il sentimento si stringe al proprio budello.
I giorni passano e mi vedo riflesso allo specchio
nell’insieme dei colori che avevi,
quando il mio corpo prese una strada diversa dalla tua;
ora diventata struggente,
calpestata e nella sua povertà
incatenata all’infinito sudiciume che resta come un melmoso bacio,
dato con un rossetto comprato in economia.
Ed è stato azzurro il cielo,
quando deponevo i miei sospiri tra il bianco delle tue cornee,
così da nascondere l’acerbo mio vedere
un futuro senza l’ansia del tuo corpo
non più insudiciato dal bagnato delle mie labbra;
e fu accanto al freddo dell’inverno,
ed attraverso il linguaggio emesso dal battito dei tuoi denti,…
come fosse un morse, …
che imparai a leggere il pianto ed il riso
e lì mi resi conto di non essere più l’uomo da te amato,
ma l’acerbo in te mai sbocciato.
Ed or che si sente la melodia emanata
da lunghi orecchini nell’universo,
si sente anche il dolore che essi hanno provocato
per aggrapparsi alle carni.
Come l’astratto mio fece al tuo grembo
nell’ignoto di Dio.

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