Stavo
camminando
tra arbusti spinosi,
essi
graffiavano con forza il mio pensiero
suddividendolo
in vari luoghi
questi
si manifestavano con immagini del passato
trascorse
tra angoscia e malinconia,
la
principale era sempre il volto tuo serioso e scarno
quasi
avesse voluto somigliare all’animo mio
quando mi mancavi.
Verità
della mia vita,
il
dolore provato era insignificante rispetto a ciò
che
provavo in quella solitudine,
pendevo
dalle tue labbra,
esprimevo
il mio sorriso solo quando
la
luna rifletteva
i tuoi occhi
sulle
pareti della stanza in cui
le
frasi sussurrate entravano a far parte
dell’evoluzione
che stava per sconvolgere i miei giorni.
E
poi ci sono le vette,
quelle
innevate col gessetto su di una lavagna
rubata
a turbamenti momentanei
sotto
quelle alture vi eran
disegnate con espressioni gioiose,
le
fatiche viventi nei nostri silenzi.
Le
distese di grano con su il frutto della vita,
si
amalgamavano al biondo dei tuoi capelli con semplicità,
nutrendoti,
sapendo
che eri l’immortalità del mio essere,
le
fragole giocose con il vento emanavano il loro profumo,
esso
baciava la tua pelle lasciandomi tra le labbra
il
sapore del giorno in cui padre diventavo per la prima volta.
Eri
delicata nel porgerti al mio burbero modo d’amarti,
riflettevi
prima di cantar al ner
della mia ombra
la
strofa del tuo diniego,
cauta
nel mimarmi nella penombra della sera,
i
tuoi stravaganti desideri, erano ferite indelebili,
proponenti
l’ansia padrona del resto del giorno,
quest’amor
germogliato nel silenzio decade ora
nello scritto
maestose
onde sovrastano strizzati cervelli
ricurvi
su menti fragili e malinconiche,
contesti
presenti tra capricci ed insinuazioni,
formano
cappi su eleganti ginepri,
il
soffocamento avviene lentamente,
quanto
basta per suddividere uno ad uno i sensi
di
cui ci siamo serviti
per
nuocere l’estraneo.
Nessun commento:
Posta un commento