mercoledì 28 novembre 2018

PAG.68




Stavo camminando tra arbusti spinosi,
essi graffiavano con forza il mio pensiero
suddividendolo in vari luoghi
questi si manifestavano con immagini del passato
trascorse tra  angoscia e malinconia,
la principale era sempre il volto tuo serioso e scarno
quasi avesse voluto somigliare  all’animo mio quando mi mancavi.
Verità della mia vita,
il dolore provato era insignificante rispetto a ciò
che provavo in quella solitudine,
pendevo dalle tue labbra,
esprimevo il mio sorriso solo quando
la luna rifletteva i tuoi occhi
sulle pareti della stanza in cui
le frasi sussurrate entravano a far parte
dell’evoluzione che stava per sconvolgere i miei giorni.
E poi ci sono le vette,
quelle innevate col gessetto su di una lavagna
rubata a turbamenti momentanei
sotto quelle alture vi eran disegnate con espressioni gioiose,
le fatiche viventi nei nostri silenzi.
Le distese di grano con su il frutto della vita,
si amalgamavano al biondo dei tuoi capelli con semplicità,
nutrendoti,
sapendo che eri l’immortalità del mio essere,
le fragole giocose con il vento emanavano il loro profumo,
esso baciava la tua pelle lasciandomi tra le labbra
il sapore del giorno in cui padre diventavo per la prima volta.
Eri delicata nel porgerti al mio burbero modo d’amarti,
riflettevi prima di cantar al ner della mia ombra
la strofa del tuo diniego,
cauta nel mimarmi nella penombra della sera,
i tuoi stravaganti desideri, erano ferite indelebili,
proponenti l’ansia padrona del resto del giorno,
quest’amor germogliato nel silenzio decade ora  nello scritto
maestose onde sovrastano strizzati cervelli
ricurvi su menti fragili e malinconiche,
contesti presenti tra capricci ed insinuazioni,
formano cappi su eleganti ginepri,
il soffocamento avviene lentamente,
quanto basta per suddividere uno ad uno i sensi
di cui ci siamo serviti
per nuocere l’estraneo.

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