Il
ner
di scoglio schiumando assilla
il
severo detto del tuo vivere infelice.
Il
mare è grasso,
e
la linfa del tuo corpo gli si amalgama nell’andargli incontro,
con
il vuoto e l’ansia mordenti la poca luce
che
ancora illumina le trincee della lontananza.
Il
volto è caldo dei tuoi baci e perso nella fantasia del nostro detto,
il
libero estro nella ricerca del mai pensato,
ci
porta al dir ti amo.
Con
te gestir quei veli,
con
i quali coprire il palpito dei nostri corpi
stretti
ormai alle soglie della verità.
Fantastico
innesto tipico di un biondo sole
e
radici d’erbe sconosciute;
è
come perdersi nel sapor delle tue labbra
inebriate
d’amarene e petali di viola.
Carattere
tipico d’espressioni d’altri tempi,
in
cui la fragranza era al tatto del desiderio
dove
il risveglio della vita, amalgamato a lacrime di foglie,
era
adagiato alla tua pelle macchiata ormai dal mio peccato.
E
gesta inutili han dato volto allo scheletro del passato,
in
cui ha vissuto il verde animo del tuo essere.
Stupida
creatura, giochi in vellutati attimi
e
non ti accorgi che ti ho nella morsa del mio sangue,
il
colore del sudiciume ti accompagna alle soglie dell’ingiustizia,
dove
il trovar caste genti è impossibile.
Le
mie corse non hanno sfogo nel breve tempo
e
tu t‘aggrappi al lascito delle mie carni.
Ed
or ti accoglie il sogno
di
un rotearsi nell’umido della mia voce,
mentre
il bacio alle labbra dell’universo
è
un altro dei tanti gesti
con
il quale il tuo scaltro essere
vuole
sorprendermi.
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