Orizzonti
in
cui il sarcasmo domina la fragilità della fanciullezza,
ci
si rispecchia mostrando la naturale voglia
d’essere maturi per gli incerti amori
ma
quando l’espressione riflessa
domina
i colori del nostro vedere,
gli
sfuggiamo per rifugiarci nell’anonimato.
È
la timidezza padrona di un momento
risultante
poi determinante per il futuro,
lasciarsi
dominare dall’impossibile,
l’inconscio
ciò c’induce a fare,
pur
tenendo nel palmo della mano la linea della vita molto lunga.
Avrei
voluto salutarti quando la demenza
mi
spingeva ad ignorare il tempo a disposizione
per
raggiungerti alla fine della corsa verso l’astro a te più vicino,
ma
non ho avuto il coraggio di guardarti in volto
l’elemento
principale era il bagliore dei tuoi occhi
rivolto alla luce di un’alba
nascente
alle spalle della strafottenza.
Il
gergo con il quale si sente esprimere parole d’addio,
non
appartiene certo al corvo curioso, portatore di un dir,
da
parte dell’elemento distruttore di questo confuso amore.
E’
passato il tempo,
i calzoni vanno corti e la scarpe imbarcate si
son raddrizzate,
la
tettoia si piega dal frutto della vite,
massaggiandomi
i volto sento il ruvido dell’uomo,
s’apre
tra il fogliame rampicante la porta del passato,
da essa s’affaccia l’energia della verità,
è
coperta dalla veste indossata nel trascorso
da
un animo celato dall’orgoglio,
tolgo
dalla brace la lama lasciata a forgiare,
con
essa mi aiuto a far strada per raggiungerla,
mentre
mi avvicino sento il profumo delle gardenie
opprimere
l’aria nella quale navigo ciecamente
alla ricerca di ciò che la mente custodisce dal
tempo delle ciliegie.
La
pioggia cadente rende la rocciosa via luminosa al chiaror del tuo sorriso
in
esso l’elegante bocciolo di rosa vorrebbe immergersi
per
denudarsi del suo corposo senso.
Sento
il cigolio di ferraglia avvicinarsi alle mie spalle,
voltandomi
scopro che si tratta del nascere di un
germoglio
appartenente
ad una trascorsa primavera
cresciuta
alle estremità di un immaginario vivere per te,
anima
innocente di questo peccato,
trascinata
in quest’eremo reale dall’urto tra la giostra della vita
e
la stupida evasione di un mondo parallelo al restante desiderio
di
averti mia come l’orizzonte appartiene
all’orizzonte
che i tuoi occhi vedono.
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