Vorrei
addentar
la gioia vivente nell’animo tuo,
quando
il gelo segna il destino di pietre nere
rotolate
giù dal merito d’estremi paradossi.
Si
trascinano in solcati sentieri pesanti cortecce,
sulle
quali
vi sono incisi segni d’amori orientali
persi tra acri fumi,
gli
smeraldi ricevuti in dono ricoprono ancor le tue dita
forse
un po’ sciupate dalle troppe carezze date
ad una pelle tosta ed incredula.
Il
miglio è ormai alto
ed
i colori rappresentano in pieno la luminosità del cielo,
cielo
in cui si immerge tutta la nudità terrena.
Mi
soffermo un po’ di più accanto ad un insulto scritto, così,
tanto
per rendere meno credibile la voce,
quando lo ripeterà nella tua isolata
immaginazione.
Con
essa alcune creature costruiranno i loro sentieri,
magici
e conglobanti maestose figure d’acerbe e vergini donne,
meritevoli
del poema in cui andranno a lacrimar amore.
O
musa dell’inganno,
con
te vorrei poter trafiggere il mistero dell’incredulità,
gestire
l’illusione anche quando si riferisce
a
sfiorarne con il calore delle carni la misera realtà,
fumare
l’essenza dei fiori avvolta in carta d’antichi papiri
ed
in quell’istante invecchiarsi com’essa,
per
poterne carpire le sensazioni vissute nell’antico mondo.
La
scorza di cui è ricoperta la flessibilità caratteriale
poco
permette di scoprirti disponibile al dialogo,
ma
con un gesto tristemente noto
all’inumano
modo di attirare l’attenzione,
mi
pongo a te, confermandoti l’illusione che ho avuto
quando
il freddo vivente nel cuor tuo poteva gestire
il
nostro peccato, silenziosamente, quasi impalpabile,
come
il movimento di un segno paradisiaco
in
grembo al futuro sognato nel tempo in cui ancor mia eri.
Ed
il fiume scorre corrodendo l’inciso nel granito
sul
quale s’innalza la dimora della rassegnazione;
sottraggo
da me alcune gocce dell’amaro
che
ingoia senza esitazione dal tuo sapore,
ed
immergendole in queste limpide acque
immagino
di veder sorgere sulle sue rive arbusti insormontabili,
degni
di far restare al di fuori della sofferenza
anche il più ostinato uomo,
uomo
in cui vivranno sempre i paradossi,
quelli
in cui si rifugia il mio essere
quando
ti cerco.
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