Lo
spazio annesso tra la piedata e l’odor di edera
vivente
nel cementato muro tuo e’ ampio e tenebroso.
In
esso il tacco mentre lascia la sua impronta,
rintocca
il tempo di un fanciullesco ricordo.
Magici
erano i lineamenti di un profilo tenero e sensuale.
Le
ciglia di gran lunga superavano la punta di un nasino un po’ all’insù.
Il
suono che pochi odono e’ cantico d’emergenza.
Di
corsa, graffi e urla innanzi al fato tentano di dar forza
ad
un animo ormai privo di preghiera.
Cenere
ribelle, sapresti tu accecarmi
se
gli occhi miei, ancor prima dell’innalzarsi di un vento candido,
siano
stati raccolti da un profondo desiderio di abbracciarti?
Dovrei
tornar nell’umile mio momento,
per
confermar il mio inginocchiarsi innanzi ad una figura
che
tutti credono sia l’apparizione di Maria.
Sangue
che scorre in fetide fusioni dà eco
ad una cute
che
vuole esprimersi tra il cementizio
ed
un velluto poco sapiente di dar calor ad
una croce d’ebano.
Distendo
nel vuoto separatore incenso ricevuto da un padre
chiamato
FORTUNATO.
Egli,
tacchetti sottili aggiungeva a suole gia’
consumate;
chi
calzava loro, si innalzava e calciava il pallone,
per
far sì che esso potesse sfondar la rete.
Ed
ora mi ricongiungo con quel suono
a
cio’ che accade mentre sento una piedata
ugualmente
non in grado di raggiungere la vita.
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