mercoledì 28 novembre 2018

PAG.103




Schiena dritta, passo morbido ma deciso,
mani gelide, frutti di girasoli,
ombre di viti nel pieno dell’orgoglio.
Masticar tabacco, pettinarsi con resti di radici.
Lettera d’amore scritta da una rosa ad un giglio,
polvere di marmo in assenza d’acqua.
Sole pallido,
entro con i miei occhi in te,
il rosso accarezza il mistero,
le unghie graffiano l’ozio.
Lento e’ il pensiero che giunge al volto tuo,
ostruzionismo nel cercarti.
Pace, silenzio, emozioni, trafiggono l’animo mio,
quasi come se non esistessi,
ombre allungate, il tempo accarezza il pianto,
l’impronta si fa piu’ alta,
 la terra agevola il flusso dell’acqua.
Si confonde il sudore tra acqua piovana,
energia sciupata in una corsa verso l’arcobaleno.
Lungo il pendio non si scorge sentiero,
con le ginocchia in terra si cercano i profumi della gioia.
Il verme non conta su nessuno,
trafigge il presente per giungere nel passato,
che sia in discesa, che sia in salita, il passo e’ lo stesso,
nessuno attende il suo arrivo,
nessuno mai getterà saliva per agevolar nell’arido
il suo strisciare.
L’avanzo del giorno caduto da un ramo presuntuoso,
 e’ ottimo per nutrir l’angoscia.
Mendicato un passaggio all’amico sogno,
ci si trova in un campo fiorito,
papaveri, camomilla,
e  penetranti profumi, rendono arduo il risveglio.
La nudità riflessa,
si scalda al sol ricordo degli abiti intrisi di fatiche
lasciati sulla soglia di marmo, essa principio di costrizioni.
S’odono versi somiglianti allo scempio vivente tra grigio cemento,
anch’essi rivelano con il gergo dell’anarchia
pressioni mistiche e faziose,
tendenti a soffocar l’uggiosa e fresca libertà del canto.
Moralmente ritorno uomo per respinger con forza
l’unto che mi sovrasta,
ricerco il sorriso lasciato tra trifoglio e fieno,
riempio i polmoni inalando essenza respinta da viole,
m’inarco su steli strappati dal vento
per concedere ai miei attimi di riflettersi
ancora una volta nel tuo
acerbo passato.

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