Schiena
dritta,
passo morbido ma deciso,
mani
gelide, frutti di girasoli,
ombre
di viti nel pieno dell’orgoglio.
Masticar
tabacco, pettinarsi con resti di radici.
Lettera
d’amore scritta da una rosa ad un giglio,
polvere
di marmo in assenza d’acqua.
Sole
pallido,
entro
con i miei occhi in te,
il
rosso accarezza il mistero,
le
unghie graffiano l’ozio.
Lento
e’ il pensiero che giunge al volto tuo,
ostruzionismo
nel cercarti.
Pace,
silenzio, emozioni, trafiggono l’animo mio,
quasi
come se non esistessi,
ombre
allungate, il tempo accarezza il pianto,
l’impronta
si fa piu’ alta,
la terra agevola il flusso dell’acqua.
Si
confonde il sudore tra acqua piovana,
energia
sciupata in una corsa verso l’arcobaleno.
Lungo
il pendio non si scorge sentiero,
con
le ginocchia in terra si cercano i profumi della gioia.
Il
verme non conta su nessuno,
trafigge
il presente per giungere nel passato,
che
sia in discesa, che sia in salita, il passo e’ lo stesso,
nessuno
attende il suo arrivo,
nessuno
mai getterà saliva per agevolar nell’arido
il
suo strisciare.
L’avanzo
del giorno caduto da un ramo presuntuoso,
e’ ottimo per nutrir l’angoscia.
Mendicato
un passaggio all’amico sogno,
ci
si trova in un campo fiorito,
papaveri,
camomilla,
e penetranti profumi, rendono arduo il
risveglio.
La
nudità riflessa,
si
scalda al sol ricordo degli abiti intrisi di fatiche
lasciati
sulla soglia di marmo, essa principio di costrizioni.
S’odono
versi
somiglianti allo scempio vivente tra grigio cemento,
anch’essi
rivelano con il gergo dell’anarchia
pressioni
mistiche e faziose,
tendenti
a soffocar l’uggiosa e fresca libertà del canto.
Moralmente
ritorno uomo per respinger con forza
l’unto
che mi sovrasta,
ricerco
il sorriso lasciato tra trifoglio e fieno,
riempio
i polmoni inalando essenza respinta da viole,
m’inarco
su steli strappati dal vento
per
concedere ai miei attimi di riflettersi
ancora
una volta nel tuo
acerbo
passato.
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