Non
lo avrei mai immaginato
che
tu calda e sorprendente atmosfera
saresti
stata complice di un impossibile amore.
È
molto vulnerabile tra le mie mani l’ansia
lasciata
in loro mentre ti accarezzavo,
nel
breve tempo da essa ho imparato a trattenere il respiro,
a
temprarmi pur non essendo mai stato fuori
dal
profumo d’erba salvia.
Nello
scuro non c’è stata difficoltà
a
trovare longevità e purezza,
appartenute
nella loro candida timidezza,
a
chi diede origine al tuo essere.
Il
mordente fascino passò disinvolto nelle ampie stanze
mentre
sul borotalco lasciato cadere per assorbirne la bellezza,
venne
scritto il nome di un ballo,
un
ballo nato sulle orme di reazioni poco consone
a
quel contesto in cui il succo di fragola,
difficilmente
veniva assorbito dal tovagliolo.
Ed
oggi ancor i lineamenti della tua bocca danno i brividi,
nell’ombra
s’apron
leggermente
in attesa di esser disegnate nell’oltre del
piacere.
Certo
che il venerato altare dà il castigo del silenzio,
ma
l’urlarti t’amo è nulla confronto a ciò che sento nel mio animo.
I
piedi scalzi mi portan
tra ginestre, rose e
non
ti scordar di me,
gioia
di un tempo.
S’apre
il sipario e cerco nella vita
i perché del soffrir ancor per te,
nulla
mi sorprende,
tanto
meno ammalianti sorrisi dedicatomi da lunghe chiome,
ora
calzo lucidi mocassini,
in essi si riflettono i colori dell’autunno
e
tu mi manchi.
Pretendere
dalla terra che stringo tra il presente ed il futuro
la risposta a dove sei?
Le
foglie s’adagiano al percorso
coprendo
con loro acro il profumo che lasciasti.
Dentro
al riflesso d’acqua,
intrisa di speranze lasciate da giovani
amanti,
vedo
fermarsi una carrozza,
il
cuor batte forte fino a coprir col suo frastuono,
tutto
il caos che fino a prima gestiva la mia mente,
tutto
ciò è illogico,
non devo cedere alla fantasia,
la fine di un amore è stata scritta,
ma
ugualmente il canto d’usignoli s’azzittisce,
lasciando
spazio al suono della tua voce,
che
gelando l’acqua,
come
se il tempo fosse passato in un istante,
mi
sussurra piano:
mi
dai una fragola?
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